sabato 21 febbraio 2015

Zygmunt Bauman, "Living in Times of Interregnum" (Università di Siena, 28 marzo 2014)



Zygmunt Bauman. Al nome del quasi nonagenario sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche avrei al massimo saputo associare un aggettivo: liquido. Certo, una nozione sufficiente per fare conversazione in un pub, ma rimaneva per me un mistero che cosa significasse nello specifico il termine all'interno della sua Weltanschaung. Così, quando il 28 marzo 2014 ha tenuto una lezione aperta presso il campus del Pionta, mi sono recato con un mio amico per conoscerlo meglio.
Volete sapere cosa si è detto durante quest'incontro? Continuate a leggere, allora!

La prof.ssa Loretta Fabbri, emozionata, apre la conferenzz, ricordando la fortuna dei modelli interpretativi formulati dallo studioso. Poi ringrazia il prof. Simone Zacchini, che con Bauman ha tenuta una fitta corrispondenza, per la presenza di un tale ospite nel campus aretino.
Le segue il prorettore Francesco Frati, docente di zoologia, che, dopo i consueti ringraziamenti, un tema caro a Baumann, vale a dire la diversità: tracciando una dicotomia tra natura/cultura forse un po' logora, sottolinea come anche nel mondo biologico la (bio)diversità sia un fattore importantissimo. Ecco un trait d'union tra il mondo della scienza e gli studi umanistica.
Segue il benvenuto della professoressa Laurie Anderson.

Le succede Pasquale Macrì, assessore alla cultura per il Comune d'Arezzo che, dopo aver palesato l'emozione per quell'evento; rispolvera un discorso che spesso tiene durante questi momenti di gala, ricordando i grandi aretini della storia, tutti a loro modo rivoluzionari. Il suo discorso è grosso modo questo: così come Mecenate, - prosegue l'assessore - ha ricondotto la babele di lingue parlate nell'Italia romana a una forma di latino letterario [sic.]; così come Cimabue ha rivoluzionato l'arte superando l'astrattismo bizantino e introducendo un nuovo realismo; così come Piero della Francesca ha rivoluzionato la concezione dello spazio; allo stesso modo Bauman può essere considerato un rivoluzionario e un costruttore-unificatore.
A questo punto è il turno del prof. Ferdiando Abbri, nella cui breve ma succulenta introduzione sottolinea come la teoria di Bauman abbracci svariati campi del sapere (politica, sociologia, filosofia ecc.) e come l'ospite d'onore non sia affatto un pensatore sistematico, bensì un analizzatore della modernità e della post-modernità.
Ma cosa vuole dire post-moderno? E che rapporto intercorre tra il moderno e il postmoderno? Bauman ha paragonato il passaggio dalla modernità alla post-modernità (e le relative questioni etiche) al passaggio di una sostanza dallo stato solido a quello liquido. Il prof. Abbri, con onestà intellettuale, ci tiene a precisare che, non essendo un sociologo ma uno storico, le sue riflessioni si basano sulla lettura dei testi e ne cita alcuni da lui ritenuti fondamentali:
  • Modernity and the Holocaust (1989), in cui si affronta il tema dell'autoassoluzione della memoria storica tentata dai negazionisti;
  • Postmodern Ethics (1993),  un testo incentrato sulle problematiche inerenti al relativismo etico;
  • In Search of Politics (1999), dove si affronta il tema del declino politico e della sfiducia verso le istituzioni, nonché l'importanza degli spazi pubblici;
  • Liquid Modernity (2000), forse il suo testo più importante.
A questo punto Bauman dichiara (in un inglese che, ahimè!, sono riuscito a seguire solo a tratti) di apprezzare  i commenti e strappa delle risate tra gli astanti dichiarando (parole testuali) di provare una trepidazione tremebonda. Inizia poi il suo discorso.
Per prima cosa cita un passo di Diario di un anno cattivo (2007), romanzo del premio Nobel sudafricano John Maxwell Coetzee, in cui lo scrittore s'interroga sul perché l'umanità non può condurre una vita cooperativa come le api. Alla base di questa problematica, spiega poco dopo, c'è un sentimento di smarrimento dovuto al periodo di transizione che viviamo. Introduce quindi un concetto-chiave formulato da Antonio Gramsci (da lui definito greatest Italian philosopher), vale a dire quello di interregno: termine con cui s'indica il passaggio da un vecchio assetto istituzionale a uno nuovo e non ancora formato. Tito Livio è il nostro riferimento per la formulazione di questo concetto: lo storico romano, infatti, ci racconta che, nella Roma monarchica, alla morte del mitico re Romolo, dopo 36 anni di regno, i Romani si trovarono spaesati, del tutto impreparati al passaggio sotto un nuovo sovrano e dunque a un nuovo assetto politico-amministrativo. Le persone, protagoniste di queste tipologie di momenti storici, capiscono che il vecchio modo di risolvere i problemi non funziona ormai più, ma che non ci sono soluzioni pronte all'uso sul momento.

bauman
Immagine tratta da http://www.tsdtv.it/.

Una situazione di interregnum più vicina a noi (nonché meno mitica e più storica) la ritroviamo quattro secoli fa: la riforma protestante creò numerose conflitti, fino a che non si giunse alla Pace di Augusta (1555) e in seguito al Trattato di Vestfalia (1648). Con la prima si sanciva ufficialmente la divisione di fatto della Germania tra cattolici e luterani, e prevedeva l'obbligo per i sudditi di seguire la confessione religiosa del proprio sovrano: ciò comportò l'istituzione del cuius regio eius religio. La pace di Vestfalia, invece, pose fine alla cosiddetta guerra dei trent'anni, iniziata nel 1618, nonché alla Guerra degli ottant'anni tra la Spagna e le Province Unite. Ora, col principio cuius regio eius religio inizia a prendere campo il principio di volontà del sovrano cui seguirà quello moderno di sovranità territoriale: tale modello sarà successivamente esportato grazie al colonialismo dall'Europa al resto del mondo.
A questo punto Bauman fa una considerazione: la sovranità territoriale può sussistere solo se vi è l'autosufficienza militare, politica ed economica. In seguito alla di conseguenza alla globalizzazione, tali forme di autosufficienza (specie quella economica) non esistono più, in quanto si è creata una fortissima interdipendenza tra le nazioni, come dimostra la crisi finanziaria iniziata nel 2007. A complicare il quadro generale c'è un cambiamento fondamentale: la separazione del potere dalla politica. Mentre la politica sembra evaporata (evaporated) nel cyber-spazio, il potere continua ad essere legato come secoli fa al territorio.
Oggi, gli stati nazionali non sono più autosufficienti. Quello che accade ad Arezzo può influenzare quanto succede in Nuova Zelanda. Siamo in una situazione in cui potere e politica non sono più la stessa cosa. La politica non è più in grado di rispondere alle esigenze del cittadino. Quest’utlimo è chiamato a provvedere da solo a problemi che riguardano l’intera società. Tutto ciò, da una parte crea malcontento e sfiducia nei confronti delle istituzioni, dall’altra si traduce nella ricerca di nuove forme di impegno politico
Questo è il double bonds ("doppio vincolo") che crea la schizofrenia generale che viviamo in questo periodo, col deterioramento del potere territoriale (local power) che ne consegue: per descriverne le conseguenze la metafora dei danni collaterali, vale a dire la perdita di fiducia da parte dei cittadini. I governi, infatti, non riescono più a risolvere i problemi legati a ciò che prima era competenza del Wellfare (istruzione, sanità ecc.). La soluzione a molti dei problemi suddetti, inoltre, un tempo erano gratuite. Adesso - ed è questo il dramma - occorre cercare soluzioni individuali per i problemi sociali! Ecco allora che si affacciano all'orizzonte correnti come quella degli idignados o di OccupyWallStreet. Ricerche e statistiche recenti hanno rivelato come tali movimenti siano costituiti da individui diversi anche politicamente: segnale allarmante di un malessere diffuso.

Immagine tratta da http://www.tsdtv.it/.

Bauman non ha una ricetta per tutto questo: si limita a dire che lui, come studioso, non può far altro che analizzare e cercare di descrivere il momento di transizione che stiamo vivendo, ma non può prevedere il futuro. Certo è, conclude, che potere e politica hanno divorziato. Sta a noi, nel nostro piccolo, il tentativo di rimetterli insieme. La soluzione non sta negli stati nazionali, ma in regole condivise dettate dal vivere sociale. (Ricordate il discorso sulle api all'inizio?) Ma come far cooperare potere e politica? Non è facile rispondere.
Le spinte al cambiamento ci sono, ma non si sono tradotte in nulla di concreto. Televisioni e giornali hanno parlato a lungo di Occupy Wall Street. L’unica forza a non aver prestato affatto attenzione a questo movimento è però stata proprio la Borsa di Wall street. Non è cambiato nulla. C’è stata resistenza al cambiamento.
Ma, mentre cerchiamo una risposta, molti sono i problemi che affliggono il mondo e che appartengono a tutti noi quali l'impatto ambientale e l'immigrazione. Si tratta, infatti, di problemi che non si possono affrontare a livello nazionale. Se l'immigrazione, argomento caro allo studioso, un tempo era a local solution for a local problem, ora il problema riguarda tutto il mondo. Tutti noi siamo costretti a vivere in un mondo multietnico, ciò rende indispensabile la cooperazione. È necessario, dunque, instaurare un dialogo, anche tra idee differenti: cita, pertanto (in modo forse un po' ruffiano), il dialogo tra papa Francesco e il giornalista Eugenio Scalfari. Il dialogo, in conclusione, è la sfida di quest'epoca d'interregno.


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