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Era mio padre...
Dalle confessioni di S. Braccino
È da molto tempo che voglio scrivere una cronaca sulla mia
famiglia. Ma per farlo è bene partire delle origini.
Mio padre.
A lui devo molto di ciò che sono. Non solo i tratti somatici:
lo sguardo austero, le linee marcate, il collo lungo e slanciato; ma pure i
miei ideali etico-politici e, se quel piovoso pomeriggio dicembrino, mi sono
tesserato alla FIOM e da allora ho sempre lottato per i diritti dei lavoratori
e dei poco abbienti.
Primo di sette fratelli, egli nacque il 3 maggio 1888 a Rignano sull’Arno da una
famiglia di mezzadri e, fin dalla più tenera età, seppe cosa volessero dire lo
stento e la miseria. Rimasto precocemente orfano, mio padre dovette occuparsi
del mantenimento dei fratelli. Durante quegli anni di dura esistenza, fiorì in
lui il desiderio di dedicare la sua vita alla difesa dei più deboli.
Poiché all’epoca era assai difficile accedere a un’istruzione
adeguata, si iscrisse in seminario e continuò gli studi sotto la guida del
parroco locale. Lì imparò a leggere e a far di conto. Nonché
il greco, il latino e alcuni rudimenti di sanscrito. Non prese tuttavia i
voti, anzi in età avanzata si è spesso rincresciuto di quest’esperienza alla
luce delle sue posizioni anticlericali.
Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, lavorava di giorno
come garzone in una bottega e di sera aiutava un notaio nel suo studio: sei
becchi da sfamare non sono uno scherzo! Riguardo al conflitto, le sue posizioni
furono intransigentemente anti-interventiste in perfetta coerenza col suo
socialismo utopico. Si dice che in quegli anni avesse avuto un alterco con
Gabriele D’Annunzio, ma i motivi del contenzioso esulerebbero dalla politica:
il poeta-vate, recatosi in bottega, aveva chiesto di pagare il restauro metà
con fattura e metà al nero. La cosa non andò giù a mio padre!
Terminata la guerra, trovò un impiego come capostazione ad
Arezzo. Durante l’ascesa di Mussolini, molti furono ammaliati dal bazzuto
futuro dittatore. Ma mio padre non si fece ingannare neppure da certi propositi
d’ispirazione socialista presenti nel suo programma. Forse per questo, un
giorno, mentre era al lavoro, un gruppetto di squadristi si accanì contro di
lui strappandogli le penne: partirono dalla coda per poi denudarlo
completamente. Tale misfatto lo turbò profondamente: mio padre era sempre stato
molto orgoglioso del suo piumaggio e ogni qualvolta si recava in balera, la
lucentezza delle sue piume faceva strage di cuori. Era, come mio fratello, un
incallito dongiovanni.
Ben presto la disperazione scemò e subentrò progressivamente
un giusto senso di vendetta. Gli autocarri tedeschi che dovevano transitare per
i passi dei Mandrioli, della Consuma, della Verna e della Calla erano obbligati
a passare nei pressi di Bibbiena. Mio padre prese parte attivamente alla
resistenza pur operando dietro le quinte: non potendo impugnare un mitra con le
ali, si caricava sulle spalle armi, viveri e medicinali e faceva la spola
dall’accampamento ai luoghi di battaglia. Spesso si occupava persino dei giri
di ricognizione o si accollava i feriti benché a pieno carico. E fu grazie al
suo intervento che le forze tedesche furono distolte dai fronti più rilevanti.
Mio padre ebbe insomma un ruolo-chiave nella Resistenza
contro il nazifascismo. Sul ruolo, tuttavia, gli storici discordano: pur
riconoscendone all’unanimità il valore, le scuole di pensiero si sono divise
circa il modo in cui la sua azione va letta e contestualizzata (e ciò un po’
mi rammarica, dato che per fugare ogni dubbi basterebbe interpellarlo, visto
che è vivo e vegeto).
Nel dopoguerra tornò a fare il capostazione. I suoi fratelli
erano ormai grandi e vaccinati, così si comprò una casetta in via Cavour in
prossimità del convitto, dove risiede tutt’oggi con mio fratello. Là visse
serenamente da solo per alcuni anni. Poi in età avanzata, un bel dì, durante
una manifestazione sessantottina trovò l’amore: Clementina Quattropenne,
attivista politica e chitarrista classica. Alcuni anni dopo convolò a nozze –
in comune, s’intende – e l’11 luglio nascemmo io e mio fratello Tranquillone.
Purtroppo, in seguito a complicazioni dovute al parto, nostra
madre morì. Mio padre, malgrado l'avesse amata moltissimo, non parla volentieri di
lei: penso che ricordare i bei momenti passati assieme è per lui fonte di
un’indicibile malinconia. La ferita non si è mai emarginata.
Probabilmente è proprio a causa dell'inaspettata scomparsa di
mia madre che mio padre è tanto protettivo nei nostri confronti.
Era mio padre di Marco Luchi & Michelle Klopper è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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