lunedì 22 dicembre 2014

[Recensione] Le colline hanno gli occhi - Alexandre Aja (2006)



Titolo originale: The Hills Have Eyes
Paese: USA
Anno: 2006
Regia: Alexender Aja
Produttore: Wes Craven,
Peter Locke,
Marianne Maddalena
Soggetto: Wes Craven
Sceneggiatura: Alexandre Aja,
Gregory Levasseur
Cast principale: Aaron Stanford,
Emilie de Ravin,
Dan Byrd,
Ted Levine
Durata: 107 minuti

Una famiglia americana è in viaggio col proprio camper lungo il deserto del Nevada alla volta di San Diego. A seguito di un incidente, si trovano bloccati in mezzo al nulla, dove vengono assaliti da un gruppo di ex minatori diventati cannibali in seguito a esperimenti nucleari svolti negli anni Cinquanta e segretati dal governo statunitense. Gli antropofagi spingeranno i protagonisti a una strenua lotta per la sopravvivenza, rendendoli artefici di cose che neppure immaginavano...
Già col Haute Tension (per quanto fosse traballante nel finale), il registra d'oltralpe Alexander Aja aveva dimostrato di saper il fatto suo. E lo conferma con The Hills have Eyes, remake del film omonimo (1977) creato da Wes Craven. Il film oltre a essere pregevole dal punto tecnico, sa valorizzare quegli spunti di riflessione socio-politica già presenti nell'originale: la famiglia Carpenter, tanto per dirne una, non è forse il prototipo della famiglia media americana? E nel rapporto tra il patriarca, Big Bob (Ted Levine), e il giovane neo-papà Doug Bukowski (Aaron Stanford), non vi possiamo forse scorgere una dialettica tra due diverse ideologie? Tra ideali repubblicani-reazionari e democratici-progressisti? In fondo, ciò rendere sofferto e credibile il progressivo trasformarsi di Doug in un “giustiziere” e allo stesso modo attenuerà con naturalezza la dicotomia (comunque marcata) tra carnefici e vittime.
Un horror che, come vuole la tradizione, fa emergere le paure inconsce e i trami irrisolti degli USA: quelle psicosi collettive, che negli anni Settanta traevano linfa dalla guerra del Vietnam e oggi dall'11 settembre, che rivelano le crepe dietro la facciata dell'American Way of Live. Il tutto, come da film di genere che si rispetti, è trattato in modo sotteso, senza andare a inficiare il ritmo della narrazione.
Forse siamo di fronte una dei rari remake in grado di battere il modello.
Da segnalare, gli accattivanti titoli di testa che in modo conciso svelano gli antefatti della narrazione, nonché l'ottimo trucco di Greg Nicotero (guarda caso allievo di Tom Savini), che per rendere più convincenti i suoi mutanti è andato a studiarsi testi medici riguardanti le deformazioni.


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