sabato 19 ottobre 2013

[recensione] Annamaria Cotrozzi - Seneca. La Consolatio ad Helviam matrem con un'antologia di testi



Titolo: La Consolatio ad Helviam matrem
con un'antologia di testi
Anno: 2011 (1a ed. 2004)
Casa editrice: Carocci editore (Roma)
Prezzo: 20,60 €

Introduzione

Come ho già fatto con altri testi, presento qui una recensione-riassunto di un libro che ho studiato per un esame un esame universitario: nello specifico quello di Didattica del latino. Pertanto, non mancheranno integrazioni con riflessioni personali e/o eventuali appunti presi a lezioni.
Come sempre buona lettura!

Seneca e la Consolatio ad Helviam matrem

La vita e le opere di Seneca



Busto dello Pseudo-Seneca, fine del I sec. a.C.,
Museo archeologico nazionale di Napoli



Seneca nasce a Cordova il 4 a.C. Suo padre, detto Seneca il vecchio, fu un autore di una raccolta di Controuersiae e Suasoriae. Il rapporto tra il filosofo e suo padre resta a tutt'oggi non ben definito, e ciò ha eccitato l'interesse degli studiosi.
Ebbe due fratelli (cfr. ad Helv. 18.1-3), Novato e Mela (quest'ultimo padre del poeta Lucano, cui Seneca sembra far riferimento in ad Helv. 18.4-6). Fin da piccolo mostrò una salute cagionevole: da giovane, soffrì di affezione bronchiale e, per tutta la vita, ebbe problemi d'asma. Da un passo della Consolatio (19.2), sembrerebbe essersi recato in Egitto presso la zia materna per curarsi.
Successivamente iniziò a Roma gli studi di retorica e la sua carriera politica: l'abilità oratoria e l'elevata condizione sociale gli consentirono di integrarsi nella vita della corte imperiale. Ma la crisi dei rapporti tra imperatore e Senato,  prima sotto Caligola e poi sotto Claudio, ebbe ripercussioni sul destino di Seneca: Caligola, invidioso dei suoi successi, nel 39 a.C. lo condannò a morte (un pericolo sventato dall'intervento di di una amante del princeps); Claudio invece lo relegò in Corsica (41-49 d.C.), accusandolo di adulterio con una principessa della casa imperiale.
Durante l'esilio, il filosofo compose due consolationes: l'una è l'Ad Helviam matrem (di cui parleremo a breve); l'altra, invece, è l'Ad Polybium, indirizzata all'omonimo e potente liberto di Claudio. La finalità di quest'ultima è palese: confortare il destinatario per la perdita del fratello, con l’intento di avere un'intercessione da parte sua presso l’imperatore tale da consentire la revoca dell’esilio.
Questa arrivò, invece, per l’intervento di Agrippina minore (seconda moglie di Claudio), la quale volle Seneca come consigliere e maestro del figlio Nerone. Alla morte di Claudio, Nerone diventò pertanto imperatore sotto la guida di due capaci consiglieri: Seneca e Afranio Burro, il prefetto del pretorio. In veste di precettore, il filosofo cercò di indirizzare il giovane verso un governo saggio e oculato. Il progetto, sfortunatamente, fallì: presto Nerone si sottrasse all’influenza del filosofo, attratto dalla via del dispotismo regale di stampo orientale.
Gli anni dal 55 al 59 videro la corte imperiale teatro di trame politiche e di uccisioni: tra le vittime illustri Britannico, il fratellastro, e la stessa Agrippina. Nel 62 il filosofo chiese di ritirarsi a vita privata: da allora si dedicò agli studi, componendo un trattato filosofico-scientifico, le Naturales Quaestiones, e le Epistulae ad Lucilium. Pochi anni dopo, coinvolto nella congiura di Pisone (65), fu costretto  dal principe a suicidarsi : il drammatico racconto della sua morte si trova negli Annales di Tacito.
La Consolatio ad Helviam matrem e le Epistulae ad Lucilium costituiscono una delle fonti principali per la ricostruzione della vita dell'autore. A queste fonti, provenienti dall'autore medesimo, vanno aggiunte le testimonianze di Tacito (ann. XV 62-64), delle biografie svetoniane (quelle degli imperatori Caligola, Claudio, Nerone nel De vita Caesarum) e di Cassio Dione (Storia romana, 16.10).

I dialogi di Seneca

La Consolatio ad Heluiam fa parte dei cosiddetti dialogi. Sotto tale nome ci sono pervenuti dieci trattati senechiani per un totale di dodici libri (uno, il De ira, è costituito da tre libri). Se seguiamo l'ordine con cui tali testi ci sono stati tràditi dal loro testimone principale, un cod. del XI sec., noto come Ambrosianus C. 90 inf. (= A), la Consolatio ad Heluiam è il dodicesimo. Pare certo, tuttavia, che questo non sia l'ordine cronologico di composizione e varie prove ci inducono a pensare che l'opera risalga al 42 d.C.
Le opere sono menzionate col titolo collettivo di dialogi pure da Quintiliano (instit. 10.1.129). Ciò sembrerebbe rinviare al modello platonico, ma in queste opere (con l'eccezione del De tranquillitate animi) troviamo solo sporadici interventi di un interlocutore fittizio.1

La Consolatio ad Helviam


Problemi di genere

Seneca, durante il suo esilio in Corsica, si propone di consolare la madre, Elvia, dalle ferite inflittele dalla sua lontananza. Il trattato si prefigge di ricondurre un evento ritenuto un male dal senso comune (opinio uulgi), in questo caso la relegatio, sotto le categorie dell'etica stoica e di classificarlo come indifferens (ἀδιάφορον); lo stesso vale per altri presunti mali connessi all'esilio: la paupertas, l'ignominia, il contemptus (6.1).2
Uno degli aspetti più caratteristici è la sovrapposizione di più generi: quello epistolare e quello del sottogenere consolatorio. Ciò comporta conseguenze sulle modalità espressive, sul linguaggio e sulla scelta dai topoi, pertanto:
  1. il motivo consolatorio svolto in 2.4-3 comporta un tono elegiaco che ritroviamo al cap. 16, dove la laudatio della madre e dei suoi costumi, antichi e severi, assumono i connotati di un ritratto idealizzato;
  2. l'enumeratio dei popoli che si spostano, finalizzati a dimostrare come la commutatio locorum sia un attitudine insita nell'uomo, sia un  si chiude con un excursus geografico (7.8-10).

La struttura dell'opera

L'opera può essere suddivisa in quattro macro-sezioni. Nella prima breve sezione, che costituisce l'introduzione, l'autore si giustifica di non essere intervenuto subito nel portare conforto alla madre, nonostante un impulsum lo spingesse a far ciò; la ragione del suo ritardo sta nel fatto che un intervento prematuro, allorché il dolore era ancora recente, sarebbe stato improduttivo. L'immagine delle ferite e le altre tratte dall'ambito medico sono tipiche delle trattazioni filosofiche sul tema del dolore (sono presenti già dal primo paragrafo e le ritroviamo in altri passi del medesimo autore, p.e. in ep. ad Luc. 99.29): in questo contesto metaforico si realizza un perfetto connubio tra strategie retoriche e filosofia morale, ellenisticamente intesa come ars uiuendi.
In un primo momento fa riaffiorare alla madre i dolori che lei ha patito nella vita: il fine è mostrare come l'esilio dell'amato figlio non sia nulla rispetto a quando ha già passato. Seneca è cosciente della strana condizione (re noua) in cui si trova, quella di un esule – destinatario ideale per una consolatio – in procinto di consolare un'altra persona (vd. 1.3-4); il filosofo romano, pertanto, svolge un'argomentazione articolata in due parti, ciascuna delle quali occupa una macro-sezione:
  • dapprima (capp. 5-13) dimostra come l'esilio rientri nella categoria delle cose che, di per sé, non sono né buone né cattive (gli indifferentia o adiaphora);
  • in un secondo momento (capp. 14-19) illustrerà alla madre tutte le fonti di conforto (solacia) di cui può giovare durante la sua assenza.
Ma procediamo con ordine.

Poiché ciò che la Natura ha reso necessario per l'uomo è davvero poco (cfr. ad Helv. 18.6 ed ep. ad Luc. 17.9 e 18.6), la Sorte (la Fortuna latina), per quanto avversa, non può privarcene: quindi l'esilio non è altro che una mera commutatio locorum (o c. loci, che dir si voglia). L'importante è stare sempre all'erta, per non essere colti impreparati.
Tale prospettiva si sposa perfettamente col cosmopolitismo stoico, per cui la patria è l'intero mondo (cfr. ad Helv. 8.5-6 ed ep. ad Luc. 28.4). L'uomo, inoltre, si sposta per un impulso naturale: tale asserzione è alla base di una lunga argomentazione (capp. 6-8). Attenzione, però: la Natura mette a disposizione dell'uomo tutto ciò che gli serve per sostentarsi, a patto che la cupidigia (luxuria), la bramosia di ricchezze e agi, non lo induca a ricercare comodità superflue. Il tema ricchezza-povertà è lungamente trattato (capp. 10-12) e costituisce un tema topico nell'opera dell'autore (vd. anche ep. ad Luc. 18.5-13).
Tra gli aspetti più interessanti che emergono dall'opera di Seneca, l'idea, ereditata dal Secondo Stoicismo, che non si possa controllare l'impulso di un sentimento (gr. προπάθεια) innanzi a un fatto doloroso, ma che se ne possano controllare, per mezzo della ragione (lat. ratio, gr. λόγος), gli effetti succedanei. Ecco allora che alla totale insensibilità (gr. ἀπάθεια) si contrappone un giusto equilibrio (gr. μετριοπάθεια):

inhumanitas est ista [scil. duritia], non uirtus. 
Sen. ep. ad Luc. 99.15


Il testo in una prospettiva didattica

Il testo qui recensito, come dichiarato nei quarti di copertina, ha un «intento eminentemente didattico» e presenta un ricco apparato di note nonché un'antologia di brani dello stesso autore che costituiscono un «percorso di lettura» volutamente «non monotematico, ma organizzato in modo da esemplificare significativamente la complessità del discorso letterario».
I passi che ho citato sono per la maggior parte antologizzati nella seconda parte del libro, intitolata Passi scelti da altre opere, in due sotto-sezioni aventi i seguenti titoli:
  1. Modalità del discorso consolatorio,
  2. Dalla ricchezza alla povertà.
È così possibile per l'insegnante la costruzione di percorsi tematici ad hoc.

Conclusione personale

Sia dai testi antologizzati che dalle note piè di pagina, emergono le contraddizioni dell'autore: perché nel testo in questione si sottolinea l'inefficacia di un intervento consolatorio prima che la madre abbia superato la fase acuta del dolore; mentre, nell'ad Marciam, si sottolinea la necessità di un intervento repentino? Perché nell'ad Helviam asserisce che l'esilio non è altro che una mutatio locorum; mentre nell'ad Polybium i toni con cui descrive la relegatio sono molto più tragici? Sono solo due delle  numerose contraddizioni di Seneca: incoerenze messe più volte in evidenza dagli studiosi.
Ora, voglio spezzare una lancia in favore di quello che è uno dei miei autori latini preferiti. Credo che esse siano da ascrivere al fatto che il filosofo romano fu (concedetemi l'espressione anacronistica) una sorta di padre ante litteram del counsuling filosofico: ecco, dunque, che il suo messaggio si adatta al destinatario. 
Molti non attribuirebbero lo status di “filosofo” a Seneca, certo, e probabilmente Croce, alla luce del convulso e nervoso stile senechiano, avrebbe detto che

che [Seneca] non è neppure un filosofo, se è vero che «la seria e schietta filosofia non piange e non ride, ma attende a indagare le forme, l'operare dello spirito».3

Eppure, come afferma Concetto Marchesi,

il suo stile, «fatto di frasi brevi, staccate, acute, luminose, improvvise, che incalzano spesso una medesima cosa per colpirla da più lati sino in fondo, è - fra le pagine degli scrittori latini - quello che parla a noi il linguaggio più vivo»4

A Croce, senza dubbio, non sarebbe gradita neppure la asistematicità di Seneca. Eppure tale asistematicità non è un segno di modernità, specie dopo il crollo di tutti i grandi sistemi filosofici? Essa, inoltre, mi pare dipesa dal fatto che Seneca fosse un pensatore dichiaratamente eclettico:


Disputare cum Socrate licet, dubitare cum Carneade, cum Epicuro quiescere, hominis naturam cum Stoicis uincere, cum Cynicis excedere.
Sen. breu. 14.2

Una menzione cursoria la merita il rapporto tra Seneca ed Epicuro, specie alla luce di quanto detto poc'anzi sull'eclettismo del filosofo romano. Egli non si pone problemi a citare quel uoluptatis magister  nei casi in cui il suo pensiero coincida coi precetti dello Stoicismo: un punto di raccordo, p.e., è il fatto che uiuere bene (ad Helv. 5.1 ed ep. ad Luc. 28.5) coincida col vivere secondo natura epicureo. Un altro punto d'incontro, curiosamente, lo ritroviamo nella concezione del tempo: se la uirtus va esercitata ogni instante, allora il presente è

l'unica dimensione sotto cui il tempo si offre all'uomo e in cui si gioca il suo destino (un punto di convergenza, pur con modalità diverse, del carpe diem epicureo).

Quanto, infine, alla contraddittorietà tra lo stile di vita predicato e quello da lui seguito, ricordiamo che Seneca non ha mai condannato la ricchezza esplicitamente, ma la considera un adiaphoron.




1 Cotrozzi 2011, p. 11 n. 1.
2 Cotrozzi 2011, pp. 11-12.
3  Scaffidi Abbate 2007 p. 11
4  Cit. Scaffidi Abbate 2007 p. 11


Bibliografia

  • Aa. Vv., Enciclopedia filosofica, diretta da Virgilio Melchiorre, Bompiani, Milano 2006
  • Annamaria Cotrozzi (a cura di), La Consolatio ad Helviam matrem con un'antologia di testi, Carocci editore, Roma 2011 [1a ed. 2004]
  • Mario Scaffidi Abbate (a cura di), Seneca. L'arte di non adirarsi, Newton-Compton, Roma 2007
  • Walter Massaro, Domenico Bernardi, La filosofia, una cura per la vita. Contro il disagio dell'esistenza e i problemi dell'uomo contemporaneo, Christian Marinotti edizioni, Milano 2007 

4 commenti:

  1. Bellissimo Seneca! Gli alunni lo adorano e i suoi insegnamenti sono sempre validi!

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    1. Eh sì, Seneca alle superiori piaceva molto anche a me. E, tra parentesi, continua a piacermi!
      Anche se, a dire il vero, ho gradito (e gradisco ancora) tutti i grandi autori di età neroniana: Lucano, Persio e soprattutto il mio adorato Petronio. Su quest'ultimo, tra l'altro, farò la mia tesi magistrale.

      [im]http://www.drogbaster.it/gif/cuore_animato_gif.gif[/im]

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  2. Beh, Petronio non è 'scolastico' come Seneca! Che bel cuore pulsante!

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    1. Non credo. Perché Petronio dovrebbe essere meno 'scolastico' di Seneca?
      Il latino dei suoi liberti, così anomalo, non è forse più stimolante di certe frasettine utilizzate negli esercizi? Su di esso non si potrebbero fare molti lavori in classe? Si potrebbe, p.e., far eseguire agli alunni un'esercitazione di “traduzione” dal latino Petroniano al latino classico, in modo tale da fargli mettere in pratica le regole imparate sui manuali e da acuire le loro capacità di scorgere le eccezioni alla regola. Ne risulterebbe sicuramente un'immagine del latino in quanto lingua assai più vivace e fresca!
      Poi, per quanto riguarda le parti più oscene (salvo l'episodio di Quartilla e il dialogo tra Encolpio e il suo pene), oggi non scandalizzerebbero nessuno: siamo abituati (e mi metto nel novero degli studenti) a molto di peggio.
      (Oddìo, aspetta... Forse, gli alunni non si scandalizzerebbero, ma sicuramente farebbero un gran bel brusio: ricordo che, la prima volta che ci venne illustrato il plot del Satyricon, in classe si levò una fragorosa risata e il prof, chiudendo sconsolato il libro di testo, esclamò: «Per colpa dell'impotenza di Encolpio, terminiamo qui la lezione.»)

      Cambio argomento. Sì, in effetti quel cuore è proprio bello! Non mi aspettavo, tra l'altro, che funzionasse pure l'animazione. :)

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