Lunedì 21 febbraio 2011
Università di Pisa
|
Uno dei Papiri di Ossirinco, con alcuni dei più importanti
esempi della letteratura della Grecia antica. |
Lezione I: Illustrazione corso. Problema della lingua prima di Platone. (Maria Bertagna)
Il Cratilo è il primo “trattato” sistematico pervenutoci sul problema della lingua: esso cerca di fare il punto su questioni che - è bene chiarirlo da subito - erano già state oggetto di riflessione pure nelle epoche precedenti.
Il testo, inoltre, ci offre spunti di riflessione su molte altre tematiche affrontante dal pensiero greco tra V e IV sec. a.C., in primis il rapporto tra Natura (φύσις) e convenzione (νόμος): un problema che, non a caso, è trattato proprio all'inizio del dialogo.
Proprio nelle prime pagine, infatti, si delineano due posizioni antitetiche:
- una è quella della lingua φύσει, vale a dire “secondo natura”;
- l'altra è quella della lingua νόμῳ, ovvero “secondo convenzione”.
Secondo il primo approccio, l'ὂνομα (“nome, parola”) riflette in qualche modo la natura del suo referente; per il secondo, invece, il rapporto esistente tra il segno linguistico e il referente è puramente arbitrario.
Non è superfluo chiedersi se Platone sia colui che solleva per la prima volta il problema, oppure se si tratti di colui che per primo fornisce una sintesi delle due teorie formulata a riguardo di una questione dibattuta anche in passato nella cultura greca. La risposta sembra essere la seconda. Pertanto, cercheremo di mostrare come il suddetto “trattato” non sbuchi fuori dal nulla, ma abbia a valle una lunga riflessione sul tema. Per far ciò, ci avvarremo di una rapida carrellata di esempi tratti dalla letteratura greca antica.
Le paraetimologie in Omero
Iniziamo con Omero, poiché già nei suoi antichi poemi si fa un largo ricorso a moltissime etimologie, o meglio a moltissime paraetimologie e a una sola etimologia stricto sensu, vale a dire quella inerente al nome di Odisseo (Odissea XIX) che affronteremo in seguito. In esse, possiamo scorgere il germe di una speculazione metalinguistica inerente al valore del nome.
Il poeta, dal resto, fa varie riflessioni sulla lingua (ossia lo strumento da lui utilizzato per fare poesia) le quali rivelano tre nuclei di “sensibilità linguistica”:
- l'importanza data all'abilità retorica;
- la consapevolezza che esistano lingue diverse dalla propria, ciò nonostante in grado di esprimere gli stessi concetti;
- l'interesse per l'etimo dei nomi e per i nomi doppi delle medesime cose o persone: è il caso del rapporto tra nome umano/nome divino: talvolta, per una stessa divinità esistono due nomi: uno è quello umano e l'altro è quello divino.
Riflessione linguistiche di Esiodo
Anche nella
Teogonia riscontriamo una serie di etimologie, innanzitutto a proposito dei nomi degli dèi: in questi casi, il nome conferma la realtà e la realtà, a sua volta, il nome. Si legga, a titolo di esempio, il caso delle nove Muse
Poi degli umani la stirpe e dei possenti Giganti
cantando rallegrano in Olimpo la mente di Zeus
le muse olimpie, figlie di Zeus egioco:
le partorì nella Pieria, unitasi al padre Cronide,
Mnemosine, dei clivi d'Eleutere regina,
che fossero oblio dei mali e tregua alle cure.
Per nove notti ad essa si unì il prudente Zeus,
lontano dagli immortali il sacro letto ascendendo;
ma quando fu un anno e si volsero le stagioni
al decrescere dei mesi, e molti giorni furono compiuti,
allora lei partorì nove fanciulle di uguale sentire, a cui il canto
è caro nel petto e intatto da cure hanno il cuore,
poco lontano dalla più alta vetta dell'Olimpo nevoso;
e là sono i loro splendidi cori e la bella dimora;
vicino a loro stanno le Grazie e Desiderio
nelle feste; e loro dalla bocca l'amabile voce levando
cantano , le leggi e i saggi costumi
degli immortali celebrano, l'amabile voce levando.
Esse allora mandarono all'Olimpo, fiere della bella voce,
con l'immortale canto; e attorno risuona la nera terra
ai loro inni, e amabile sotto i loro piedi piedi un suono si alzava
all'incedere verso il padre che regna in cielo,
lui, signore del tuono e della folgore fiammeggiante,
che con la forza vinse il padre Crono; e bene ogni cosa
fra gli immortali divise ugualmente e distribuì gli onori.
Ciò dunque le Muse cantavano, che abitavano le olimpie dimore,
le nove figlie dal grande Zeus generate,
Clio e Euterpe e Talia e Melpomene,
Tersicore e Erato e Polimnia Urania
e Calliope, che è la più illustre di tutte.
In tutti i casi suddetti, è visibile un'armonia tra l'ὂνομα e il suo referente.
Pure il nome di Afrodite possiede una propria etimologia, che Esiodo non esita a menzionare:
E come ebbe tagliato i suoi testicoli con l'adamante
li gettò dalla terra nel mare molto agitato
e furono portati al largo, per molto tempo, e attorno bianca
la spuma dell'immortale ne uscì e da essa una figlia
nacque. E dapprima a Citera (Κύθηρα) divina
giunse, di lì poi giunse a Cipro molto lambita dai flutti;
lì approdo la dea veneranda e bella e attorno l'erba
sotto gli agili piedi nasceva; lei Afrodite (Ἀφροδίτη),
cioè dea Afrogena (ἀφρο-γενέα), e Citerea (Κυθέρεια) dalle belle chiome
chiamano dèi e uomini, perché dalla spuma (ἀφρός)
nacque; e anche Citerea, perché prese terra a Citera;
o Ciprogena (Κυπρογενέα) perché nacque a Cipro (κύπρος) molto battuta dai flutti;
oppure Filommedea (φιλομμηδέα) perché nacque dai genitali (μήδεα).
Esiodo, Teogonia 188-200
(Trad. di G. Arrighetti)
E pure il poema esiodeo successivo, Le opere e i giorni, si apre con l'implicita etimologia di un dio, o meglio del sovrano degli déi: Zeus.
O Muse della Pieria che date gloria coi carmi, cantate qui Zeus e celebrate vostro padre, per opera del quale (ὃν τε διὰ) gli uomini mortali sono in pari modo illustri e oscuri, noti e ignoti per volere del possente Zeus (Διὸς μεγάλοιο).
Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 1-4
(trad. di L. Magugliani)
Etimologie nei tragici greci
L'etimologia, come strumento per saggiare la natura dell'ὂνομα, lo ritroviamo pure nei poeti tragici. In Eschilo, p.e., troviamo l'etimologia di Elena, vale a dire «distruttrice di navi, di città e di uomini».
Chi fu che dette a colei tale nome, e così verace nome, se non un essere a noi occulto che prevedendo il futuro colse con la parola nel segno? Elena (Ἑλένη), la sposa di guerra, la donna della discordia! Elena la sterminatrice di navi (ἑλέναυς), di genti (ἕλανδρος), di città (ἑλέπτολις)!
Eschilo, Agamennone, 681-698
Euripide, sembra essere dello stesso avviso di Eschilo: un'idea che potrebbe essere sintetizzata nel celebre motto latino medioevale
in nomina destina rerum. Questa convergenza di pensiero la si evince chiaramente dalla
paranomasia contenuta all'inizio delle
Baccanti (1-2):
Sono giunto a questa terra tebana io, il figlio di Zeus (Διὸς παῖς)
, Dioniso (Διόνυσος)
.
Euripide, Baccanti, vv. 1-2
(Trad. di L. Correale)
Sempre nelle Baccanti troviamo un bell'esempio di etimologia, in questo caso pronunciata dal mitico indovino
Tiresia sul nome di
Penteo, re di Tebe:
Sciagurato tu non sai quello che dici. Sei impazzito ormai e già prima eri fuori di senno. Andiamo, Cadmo, e, nonostante egli sia un violento, preghiamo per lui e per questa città, che il dio non ci faccia del male. Seguimi con il bastone adorno di edera, cerca di sorreggere il mio corpo e io sorreggerò il tuo: è una vergogna che cadano due vecchi. Ma sia quello che sia, bisogna servire Bacco, il figlio di Zeus. Penteo (Πενθεύς) non porti pena (πένθος) alla tua casa, Cadmo. Non te lo dico per la mia sapienza profetica ma per l'esperienza dei fatti. È un pazzo e parla da pazzo.
Euripide, Baccanti, vv. 358-369
I filosofi arcaici
Il problema della lingua era troppo ghiotto e troppo intellettualmente stimolante per non interessare, fin dall'antichità, i filosofi. Non c'è, pertanto, da stupirsi se la filosofia eraclitea, incentrata sul concetto di divenire e semplicisticamente riassunta nel motto panta rei, s'imperni su una dialettica di opposti che trova la sua sintesi nel λόγος. Leggiamo il seguente frammento:
Bios: l'arco (βιός) ha per nome la vita (βίος), ma nei fatti è la morte.
Eraclito, fr. 48 DK (22 B)
Il gioco di parole tra βίος “vita” e βιός “arco” è la riprova di come nella lingua si rifletta il concetto eracliteo di realtà, vale a dire quello scontro tra opposti che vanno risolvendosi in un'armonia superiore.
Di diverso avviso è Parmenide, il padre dell'ontologia: per questi nella lingua non si riflette la realtà delle cose, pensi la communis opinio (doxa).
È la stessa cosa pensare e pensare che è:
perché senza l'essere, in ciò che è detto,
non troverai il pensare: nell'altro infatti è o sarà
eccetto l'essere, appunto perché la Moira lo sforza
ad essere tutto intero e immobile. Perciò saranno tutte solo parole
quanto i mortali hanno stabilito, convinto che fosse vero:
nascere e perire, essere e non essere
cambiamento di luogo e mutazione del brillante colore.
[…]
Con ciò interrompo il mio discorso degno di fede e i miei pensieri
intorno alla verità: da questo punto le opinioni dei mortali impara
a conoscere, ascoltando l'ingannevole andamento delle miei parole.
Parmenide, fr. 34-42 e 50-52 D-K (28 B 8)
Empedocle, sembra alludere ad un'idea di lingua come convenzione, quando dichiara di parlare νόμῳ (“per convenzione”).
Essi, quando (gli elementi) mescolandosi in forma d'uomo sorgono all'etere,
o in forma di belve ferine o di arbusti,
o di uccelli, allora questo <dicono> nascere,
quando poi si distinguono, questa allora disgraziata morte;
le quali cose <non> è giusto chiamarle (così) ma anch'io parlo secondo il costume.
Empedocle fr. 9 D-K (31 B) da Plutarco, adu. Col. 11 p. 1113 a-b
Un altro testo interessante per chiarire il punto di vista sulla lingua dell'autore in questione ci offerto dal seguente frammento, in cui - non a caso – si ricorre ad un'etimologia:
Atene Tritogeneia è ritenuta, secondo Democrito, corrispondente alla sapienza. Perché l'essere saggio questi tre frutti: il ben deliberare, il parlare senza errori e il fare quel che si deve.
Democrito, facendo l'etimologia dice che dalla saggezza conseguono questi tre vantaggi: il ragionar bene, il parlar bene e il fare quel che si deve.
Democrito, fr. 68 B2 D-K
Democrito, inoltre, tracciò le linee-guida della nascita del linguaggio verbale: nella sua ricostruzione storia, si noti, è rimarcata la natura convenzionale della lingua. Il passo viene inoltre sottolineato il motivo per cui ogni lingua si differenzia dall'altro: un fenomeno di cui era già cosciente Omero.
(1) Ed è approssimativamente quanto ci è stato tramandato intorno alla prima origine delle cose. Dicono poi che gli uomini di quelle primitive generazioni, conducendo una vita senza leggi e come quella delle fiere, uscivano alla pastura sparsi chi di qua chi di là, procacciandosi quell'erba che era più gradevole di sapore ed i frutti che gli alberi producevano spontaneamente. (2) Erano continuamente aggrediti dalle fiere, e l'utilità apprese loro ad aiutarsi a vicenda; e, riunitisi in società sotto la spinta del timore, cominciarono a poco a poco a riconoscersi all'aspetto. (3) E mentre prima emettevano voci prive di significato e inarticolate, gradatamente cominciarono ad articolar le parole; e, stabilendo tra di loro espressioni convenzionali per designare ciascun oggetto, vennero a creare un modo, noto a tutti loro, per significare tutte le cose. (4) Ma poiché simili raggruppamenti di uomini si formarono in tutte le regioni abitate della terra, non ci poté essere una lingua di ugual suono per tutti, poiché ciascuno di quei gruppi combinò i vocaboli come capitava; ecco perché svariatissimi sono i caratteri delle lingue e perché quei primi gruppi furono la prima origine di tutte le varie nazioni. (5) Quei primi uomini, dunque, vivevano in mezzo ai disagi, perché nulla si era ancora trovato di quanto è utile alla vita: erano ignudi di ogni vestimento, non abituati ad avere un'abitazione e ad usare il fuoco, del tutto ignari di un vitto non selvaggio. (6) Giacché, non avendo idea che si potesse conservare il loro vitto agreste, non facevano punto provviste di frutti per l'eventualità del bisogno: per cui, durante l'inverno, molti di essi morivano, e per il freddo e per mancanza di vitto. (7) Ma non tardò molto che essi, ammaestrati dall'esperienza, si rifugiarono d'inverno nelle spelonche e riposero quei frutti ch'erano atti ad esser conservati. (8) Conosciuto poi il fuoco e le altre cose utili alla vita, poco dopo si trovarono anche le arti e tutti gli altri mezzi che possono recar giovamento alla vita in società. (9) Così, in generale, maestro di ogni cosa agli uomini fu l'uso stesso, rendendo familiare l'apprendimento di ciascuna abilità a questo essere ben dotato e che ha come cooperatrici per ogni occorrenza le mani e la ragione e la versatilità della mente.
Proclo, in uno scolio al Cratilo (16 p. 5, 25 Pasqu.), riporta ulteriori testimonianze circa la posizione di Democrito sull'argomento. Dal passo, inoltre, si evince la posizione di Pitagora sull'argomento:
[…]
che Pitagora ed Epicuro stanno per la teoria di Cratilo, Democrito ed Aristotele per quella di Ermogene [...]
. Con l'espressione «quello che impose i nomi [alle cose]
», Pitagora alludeva simbolicamente all'anima, la quale è immediatamente subordinata all'intelletto; e le cose, di per sé, non hanno una esistenza originaria come l'intelletto, ma l'anima possiede le immagini di esse e i loro rapporti essenziali con piena chiarezza, a guisa di pitture [B 142]
delle cose, qual sono appunto i nomi, che sono imitazioni delle specie intelligibili e cioè dei numeri. L'essere dunque deriva a tutte le cose dall'intelletto che conosce se stesso e che è sapienza, la denominazione invece dall'anima che imita l'intelletto. Non è dunque opera da chicchessia, dice Pitagora, l'imporre i nomi [alle cose], ma solo di quello che contempla l'intelletto e la natura degli esseri: [per lui] quindi i nomi sono per natura. Democrito invece, il quale afferma che i nomi sono per convenzione, sostiene la sua tesi con queste quattro dimostrazioni: [1]
quella dell'omonimia: cose differenti sono designate col medesimo nome: dunque il nome non è per natura; [2]
eppoi quella della molteplicità di nomi, dal momento che si applicano nomi differenti ad un medesimo ed unico oggetto, e nomi che si possono scambiare l'uno con l'altro, il che è impossibile [che sia per natura]
. [3]
Terza, quella del mutamento di nome: come mai infatti potremmo cambiare il nome di Aristocle in quello di Platone, quello di Tirtamo in quello di Teofrasto, se i nomi sono per natura? [4]
Infine, quella della mancanza di nomi simili: come mai da φρόνησις [saggezza]
diciamo φρονεῖν [pensare, essere saggi]
, e da δικαιοσύνη [giustizia]
invece non ricaviamo [analogamente]
un verbo? Dal caso, dunque, non da natura dipendono i nomi. E Democrito chiama la prima dimostrazione «dei nomi polisensi» [πολύσημον]
, la seconda «dei nomi equivalenti» [
ἰσόρροπον]
, la terza «delle denominazioni soggette a maturare» [μετώνυμον]
, la quarta 'dell'assenza di nome' [νώνυμον].
Democrito, fr. 26 D-K (68 B)
(Trad. di V. E. Alfieri)
Per questa lezione è tutto.
A presto!
Bibliografia
- Aa. Vv., I tragici greci. Eschilo, Sofocle, Euripide. Cura e traduzione di Enzo Mandruzzato, Filippo Maria Pontani, Leone Traverso, Manara Valgimigli, Newton Compton, Roma 20102
- G. ARRIGHETTI, Esiodo. Teogonia a cura di Graziano Arrighetti, BUR, Milano 201015
- L. CORREALE, Euripide. Baccanti. Introduzione di Franco Rella. Traduzione e cura di Laura Correale, Feltrinelli, 20072
- C. LICCIARDI, Platone. Cratilo, introduzione e note di Caterina Licciardi, traduzione di Emidio Martini,
- S. RIZZO, Esiodo. Le opere e i giorni. Lo scudo di Eracle, introduzione di Werner Jaeger, premessa al testo e note di Salvatore Rizzo, traduzione di Lodovico Magugliani, BUR, Milano 201014
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso marchingegno88@gmail.com.