sabato 1 giugno 2013

[recensione] Emily Dickinson - Poesie d'amore


Autrice: Emily Dickinson
Titolo: Poesie d'amore
Editore: Bompiani
Anno: 2012 (1a ed. 2004)

A questo libro sono molto legato in quanto mi è stato regalato da una persona a me cara. Sicché metto le mani avanti, chiedendo scusa qualora mancassi di obiettività. Una cosa è certa: il valore, indubbiamente elevato, della poesia della Dickinson.

Il testo in questione è una cernita delle poesie più famose dell'autrice aventi come tema portante l'amore. Tale sentimento è inteso in un'accezione astratta quanto sincera. Cosa significa tutto questo? Per capire fino in fondo quanto detto, sono necessarie alcune parole sulla vita dell'autrice.
Emily Dickinson (Amherst, 10 dicembre 1830 – Amherst, 15 maggio 1886), scelse liberamente di trascorrere, con l'eccezione di qualche raro spostamento in città vicine, tutta la sua vita tra le mura domestiche. Scelse di essere una "sposa reclusa", dedicandosi alla alla casa e famiglia. Una sposa, sì, ma di chi? Forse di Samuel Bowles, il critico letterario cui Emily inviò nel 1862 uno dei suoi componimenti? Oppure del reverendo Charles Wadsworth, uomo di mondo già sposato, che ebbe modo di vedere solo due volte (nel 1860 e bel 1880)?
Di certo provò anche l'amore terreno, se è vero che, negli ultimi anni, era intenzionata a sposarsi col giudice Otis Lord di Salem. In ogni caso, fu un amore sincero, sì, ma idealizzato e astratto: un amore che non sembra avere un oggetto specifico, un amore che possiamo attribuire a un uomo come a un dio, sia esso la Natura o il dio guidaico-cristiano. Il tutto descritto con estrema sobrietà, senza nessun indugio sul sentimentalismo (o sullo psicologismo) e con solide metafore tratte spesso dalla vita quotidiana: quasi un'anticipazione del "correlativo oggetto" che svilupperà T. S. Eliot.
È un libricino di sole 111 pagine. Eppure piuttosto arduo. Si sa, i versi richiedono generalmente una lettura particolarmente attenta. E quanto affermato è ancor più vero in questo caso, di fronte a una forma poetica così frammentata e telegrafica: una forma dove ogni parola pesa come un macigno e nessuna è superflua. Pure ritmo si confà ad uno stile così lapidario: grazie al gioco congiunto di versi brevi, allitterazioni, rime e anfore. Ecco una poesia emblematica dello stile dickinsoniano:


TITLE divine is mine
The Wife without
The Sign.
Acute degree
Conferred on me —
Empress of Calvary.
Royal all but the
Crown —
Betrothed, without the swoon
God gives us women
When two hold
Garnet to garnet,
Gold to gold —
Born — Bridalled —
Shrouded —
In a day
Tri - Victory —
 “My Husband”
Women say
Stroking the melody,
Is this the way?

Per fortuna ci viene incontro la bella introduzione di Massimo Bacigalupo, di cui mi ha colpito la seguente affermazione inerente ai rapporti della poetessa con la cultura, religiosa e letteraria del Seicento puritano:


L'amore di Dickinson sarà dunque iperbolico, un tutto fatto di niente, sarà paradosso, com'è nella natura della fede e della letteratura che più la influenzò, quella del Seicento che ha lasciato profonde tracce nella cultura americana. Cultura che nel 1620 è venuta alla luce bella e formata come Atena dalla fronte di Giove, e tale per certi versi è rimasta nei secoli successivi: barocca, moderna, intima, semplice, antiletterario. In America la letteratura aveva sempre una funzione etica, non d'intrattenimento, e questa si caratteristica si riscontra nei suoi maggiori esponenti, da Whitman a Eliot. (p. VI)

Non ho una vasta conoscenza della letteratura americana, mi pare tuttavia che tale affermazione trovi riscontro tutti gli autori statunitensi che ho letto (Crane, Hawthrone, Melville e Whitman), con l'eccezione di Poe.
Non sono invece rimasto altrettanto soddisfatto della traduzione di Margherita Guidacci: non capisco perché non ha reso in italiano lo stile cadenzato della poetessa. Non voglio tuttavia far polemica: troppo spesso ci si scaglia contro traduttori (e doppiatori) ignorando le difficoltà insite nel tradurre.
Ah, dimenticavo: chi volesse sentire la mia poesia preferita della raccolta recitata in lingua originale, clicchi QUI; mentre l'opera completa dell'autrice (con tanto di traduzione, testo a fronte e commento) è disponibile a questo indirizzo.



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5 commenti:

  1. Sai che io sono una persona che ha l'ignoranza letteraria dalla sua parte quindi la mia opinione conta poco, però al classico, quando il prof. Martinelli ci spiegava i poeti/scrittori americani e io non stavo attento un minuto (impegnato com'ero a cazzeggiare con Caramelle), Emily Dickinson mi colpì. E fra quelli inglesi mi colpì Osbourne, del quale lessi anche "Look back in anger", per ragioni Gallagheriane ovviamente.

    Su Emily Dickinson non posso non consigliarti il numero 95 di Magico Vento, "Agorafobia", che la vede protagonista insieme ai nostri.

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    1. Ho immaginato che avresti tirato fuori «ragioni gallagheriane» appena ho letto il nome Osbourne. Mi ricordo, una volta, di aver visto "Look Back in Anger" a notte tarda in un qualche canale Rai. Tra l'altro era in inglese coi sottotitoli in italiano.
      Credo che la Dickinson stia antipatica al Marinaio. O che la trovi un po' banale, non ricordo bene. Magari sarà più chiaro commentando il mio post.
      Il numero "Magico Vento" che mi hai citato mi ha incuriosito, perché non riesco a capire come Manfredi sia riuscito a inserire un personaggio storico così sedentario dentro un plot d'avventura. Posso però immaginarmi l'acribia con cui ha scritto la sceneggiatura per far sì che non ci sia neppure un'incongruenza storica!

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    2. Ma in effetti vedrai che gli ha costruito una storia attorno, come si evince già dal titolo. Ma il personaggio storico la cui rivisitazione Manfrediana mi ha più colpito è Jesse James, nel numero 119 della serie. Anzi, ora che ci penso quella storia non è nemmeno di Manfredi ma di Queirolo, che ha sceneggiato 3 splendidi numeri nella serie.

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  2. :) Costretto a commentare!
    Bella recensione, è obbiettiva ma si capisce quanto sia nascostamente appassionata.
    La Dickinson non mi rimane antipatica, è che la conosco poco. Anzi, grazie per il link, così vedrò di approfondire.
    E' che io sono uno per principio diffidente verso chi passa la sua vita chiuso in casa; poi però si scopre che alcuni dei miei idoli letterari (Ariosto, Leopardi, Lovecraft, me stesso) non erano dei girelloni.
    Ti dò ragione sul fatto che la letteratura americana abbia una forte dimensione etica, alla quale, se guardi meglio, non sfugge neanche Poe. Prova a rileggere "Il pozzo e il pendolo" come se fosse una lotta tra la ragione settecentesca e la violenza folle del Potere... oppure prendi "Il gatto nero": c'è dentro il rimorso, la coscienza della propria fallibilità etica, del proprio lato demoniaco. E' chiaro che Poe dichiarava cjhe di etica non gliene fregava niente, ma non gli fregava nioente dell'etica "di allora", dei problemi etici che "si sarebbe dovuto porre", mentre aveva altre urgenze etiche, si faceva altri problemi.
    La meglio letteratura per me, che tratti di guerre partigiane, di zombie, di alberi in fiore, di astronavi o di cotechini dev'essere in un certo senso (magari in modo indiretto, ma non impalpabile) etica. E forse, tornando alla Dickinson, è proprio perché non ho colto dove sta la sua etica che non l'ho filata più di tanto. Ma forse, dopo questo articolo, grazie al Luchi...

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    1. In ogni caso la dimensione etica all'interno della letteratura americana, se l'ho scorta, l'ho scorta grazie all'introduzione al testo recensito: non per ripetermi, ma l'ho trovata molto utile.
      Tuttavia quello che mi piace della letteratura americana - anche se, ripeto, non sono un esperto - è il fatto che nasce già matura (con le esperienze che i pellegrini si portano dall'Europa) ma, con la scusa di essere di essere un popolo nuovo (con una cultura spacciata per un nuova che è un rimaneggiamento di quella nostrana), si permette delle innovazioni che la letteratura europea coeva, coi suoi canoni da tempo consolidati, non osa permettersi. Spero che il mio discorso non sia troppo arzigogolato. Il mio poi è un discorso generale basato su impressioni.

      In Poe, non so, ho sempre visto solo un'angoscia ascrivibile alla dimensione intimistico-individualistica. Proverò a rileggere i racconti che mi hai suggerito. Di Lovecraft ho letto solo un'antologia di testi orrorifici da lui curata, ma conosco da terze fonti un po' della sua mitologia: magari anche in lui c'è una dimensione etica.

      PS: Mi piace il fatto che tu sia uno degli idoli letterari di te stesso!

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