sabato 10 agosto 2013

La stilistica di Leo Spitzer





Quando, all’università, mi capitò di confrontarmi con Leo Spitzer, mi trovai di fronte a un’autore, per me, alquanto tosto: pertanto feci un riassunto minimale, in cui condensare i punti focali del suo pensiero e la sua contestualizzazione storica. Pur essendo troppo crociano per i miei gusti, devo ammettere che l'ho trovato davvero interessante. Spero possiate dire la stessa cosa anche voi.

Premessa

Che cos’è in àmbito linguistico la stilistica? È forse ciò che siamo soliti chiamare estetica letteraria? Non proprio. La stilistica nasce dal contrasto tra Charles Bally (Ginevra, 1865 – 1947), linguista svizzero francese della scuola di Ginevra, col maestro Ferdinand de Saussure (Ginevra 1857 - Vufflens 1913) riguardo alla distinzione tra langue (vale a dire il sistema convenzionale di segni che formano il codice di un idioma) e parole (ovvero atto linguistico individuale e irripetibile del parlante). Lo studioso svizzero esclude dal suo esame la parole e dunque lo “stile individuale” o “personale” che rimarrà àmbito della stilistica (o estetica) letteraria.
Beh, forse ho messo troppa carne al fuoco. Sarà il caso di fare il punto di quanto finora detto:
  • la stilistica letteraria ha per oggetto  di studio la parole;
  • la stilistica di Bally, invece, si occupa dell’utilizzazione individuale della langue.
Dunque, a discapito del suo nome (un termine di vecchio conio piuttosto inadeguato), la stilistica, dopo esser stata rinnovata da Bally, diventa una disciplina nuova nel panorama delle scienze umane.
Resta, tuttavia, un problema in sospeso: come si può superare la scissione tra l’espressione poetica individuale e il codice linguistico a cui si fa riferimento? Tra i neologismi danteschi e il fiorentino municipale in cui sono scritte le sue opere in volgare? Pone rimedio a ciò il filosofo e politico Benedetto Croce (Pescasseroli 1866 – Napoli 1952), il quale concepisce l’identificazione tra la teoria del linguaggio e quella della poesia (e più in generale dell’arte). Per onestà intellettuale, tuttavia, è necessario ricordare che l’idea del linguaggio come creazione poetica era stata a suo tempo un'intuizione di Giambattista Vico (Scienza nova, 1725).
Quest’idea sarà successivamente corroborata da Karl Vossler (Hohenheim, 1872 – Monaco di Baviera, 1949), filologo tedesco che tentò di affermare una visione idealistica del linguaggio, e dai suoi seguaci, i quali ebbero una grandissima influenza in tutto il mondo. Viene così delineandosi quella concezione che Dámaso Alonso (Madrid 1898 - ivi 1990), poeta critico e filologo romanzo, dipinse le seguenti parole:
El estilo es lo único objeto de la investigación científica de lo literario. […] La Estilística es la única posible Ciencia de la Literatura.

Per vie indipendenti Leo Spitzer (Vienna, 1887 – Marina di Pietrasanta, 1960) giunge alle medesime conclusioni di Croce e Vossler, coi quali entrerà in contatto solo in un secondo momento (da sottolineare l’ammirazione del linguista austriaco per il suddetto filosofo italiano). Il metodo da lui sviluppato, però, si spinge un po’ più lontano, proponendosi di comprendere l’animo di un autore attraverso lo scarto che intercorre tra la lingua comune (la langue) e la lingua individuale (la parole). In questo modo Spitzer supera per la prima volta la fatidica dicotomia di stampo positivista tra linguistica e storia letteraria.

Critica stilistica e semantica storica

Vi è nato un po’ di curiosità per quest’autore? (Francamente spero di sì.) Qualora la vostra risposta fosse affermativa, un testo relativamente agevole per entrare in contatto con la stilistica di Spitzer (detta anche stilistica interpretativa) è Critica stilistica e semantica storica. Da quest’opera, infatti, è possibile desumere il presupposto su cui si basa tutto il modus operandi di Spitzer:
A qualsiasi emozione, ossia a qualsiasi allontanamento dal nostro stato psichico normale, corrisponde, nel campo espressivo, un allontanamento dall’uso linguistico normale; e, viceversa, un allontanamento dal linguaggio usuale è indizio di uno stato psichico inconsueto. Una particolare espressione linguistica è, insomma, il riflesso e lo specchio di una particolare condizione di spirito (p. 46).

A ciò consegue la grande importanza attribuita alla lettura:
Io cerco di derivare lo stile linguistico di uno scrittore soltanto dalla lettura delle sue opere, e le sue leggi soltanto da lui stesso. La lettura, una lettura approfondita, è per così dire il mio unico strumento di lavoro (p. 41).

La lettura di un testo, afferma Spitzer, rivela l’animo del poeta, “i centri emotivi”, una “situazione” fantastica.
Il mio modo di affrontare i testi letterari potrebbe essere sintetizzato nel motto Wort und Werk, “parola e opera”. Le osservazioni fatte sulla parola si possono estendere a tutta l’opera: se ne deduce che fra l’espressione verbale e il complesso dell’opera deve esistere, nell’autore, un’armonia prestabilita, una misteriosa coordinazione fra volontà creativa e forma verbale (p. 52).

Perciò questa tecnica critica non deve mai perdere l’insieme delle parti, allorché si passi dal particolare all’universale e viceversa. 
Ho finora illustrato ciò che va sotto il nome di stilistica, ma non ho ancora affrontato la seguente domanda: cosa s’intende con semantica storica? Provvedo subito, ma prima facciamo un passo indietro. Per semantica (termine coniato dal linguista francese Michel Julius Alfred Bréal) si intende, in senso generale, lo studio del significato. In ambito linguistico, dove l'attenzione è rivolta al significato delle parole, si possono evincere due diverse prospettive:
  1. la semantica strutturale studia il significato come sistema di relazioni (prospettiva sincronica),
  2. la semantica storica studia il mutare del significato nel corso della storia evolutiva di una lingua (prospettiva diacronica). 
Dunque il significato di una parola viene inquadrato in una prospettiva in divenire che tiene conto delle molteplici contingenze storiche.
Penso, a questo punto, sia il caso di fermarci: del resto quest’articoletto non ha certo pretese di completezza, bensì quello di dare un’infarinatura circa la possibilità di uno studio “scientifico” (per quanto scevro da qualsiasi prospettiva positivistica) della letteratura.

Riferimenti

[1] Francesco Sasso, La critica stilistica di Leo Spitzer, in: Francesco Sasso e Giuseppe Panella (a cura di) Retroguardia 2.0 – Il testo letterario, 16 maggio, 2008 – 9:19 am, data di consultazione: 4 gennaio 2012, ore 20:03
[2]  Leo Spitzer. Critica stilistica e semantica storica, Alfredo Schiaffini (a cura di),  Laterza,  Bari 1966


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14 commenti:

  1. Grande!

    Sono curioso: se pensi a un passo di un autore che si caratterizza per "un allontanamento dall’uso linguistico normale", così di primo acchito che ti viene in mente?

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    1. Marinajo, meno male che ci sei tu a commentare sempre i miei post. :)
      A me era venuto in mente Dante, il quale, pur utilizzando di fondo il fiorentino medievale della sua epoca, spesso ricorre a neologismi inediti (“indiarsi”, “inurbarsi” ecc.) per esprimere concetti particolarmente arditi. Sull'argomento suddetto, segnalo la voce “neologismi” dell'Enciclopedia Dantesca.
      A ogni modo, credo si possano trovare esempi simili anche nella vita di tutti i giorni: sto pensando al fenomeno della commutazione di codice (o switching code), per cui una persona bilingue (magari uno che parla in italiano standard e in dialetto) passa inconsapevolmente passa da un codice linguistico a un altro, dall'italiano al dialetto, per esprimere un concetto o un ricordo che sente particolarmente vicino.
      A linguistica generale la professoressa ci fece ascoltare degli esempi molto interessanti: ce n'era uno di un vecchietto settentrionale (credo che fosse dell'Emilia Romagna) che in un primo momento si esprime in italiano, poi a un tratto inizia a rievocare in dialetto la sua gioventù trascorsa nelle balere e infine conclude affermando in italiano standard qualcosa del tipo «ormai quei tempi sono finiti».

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    2. per esempio, ho un collega napoletano che parla un italiano forbitissimo (è avvocato), ma poi switcha improvvisamente nel napoletano appena s'infervora. E' fantastico :-) Anche mia nonna era bilingue: lo stesso concetto lo esprimeva 2 volte, prima in dialetto poi in italiano, per farsi capire. Su questa capacità di switchare degli anziani, c'è un pezzo bellissimo di Andrea Mingardi che se trovo ti linko

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    3. L'articolo che mi citi mi ha incuriosito, anche perché (confesso l'ignoranza) non so chi sia Andrea Mingardi.
      In casa mia non ho mai vissuto esperienze di bilinguismo. E non perché in Toscana non si parli in dialetto, ma perché qui, dove sono tutti convinti di parlare il migliore degli italiani possibili, spesso ricorriamo a espressione dialettali convinti di parlare in modo ineccepibile. Un esempio è quando dalle mie parti si dice “masticone” per intendere il “chewingum”.
      Invece conosco un caso speculare a quello che mi hai descritto. Ho un amico che è napoletano solo di origine: i suoi sono partenopei, ma lui è nato vissuto e cresciuto a Chiusi, provincia di Siena. Questo tipo ostenta sempre un accento napoletano, ma poi, quando si rilassa, gli sfuggono espressioni toscaneggianti tipo: «Il mi' babbo». A quel punto, si corregge e fa: «Scusa, volevo dire pateme».

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    4. ecco, se non conosci Mingardi mi metti un filo in imbarazzo, perché magari pensavi che t'avessi citato chissà quale fine studioso o letterato, e invece si tratta di un cantante e attore bolognese, più che altro noto a livello locale per le sue perfomances dialettali e per il suo sfegatato tifo rossoblù, ma che annovera anche qualche incursione estemporanea nella tv "generalista". Chiedi al Gori, che è un sanremologo di tutto rispetto, se si ricorda dell'esibizione sanremerese di Mingardi in coppia con Alessandro Bono, una giovane promessa stroncata troppo presto dall'AIDS (erano i primi anni '90 e tu eri in fasce, caro il mio Luchi).
      Comunque, Andrea Mingardi è autore e cantante di diversi album in dialetto (canta anche sui titoli di coda del corto che ti feci vedere, "Vai col liscio") e ha portato in giro diversi spettacoli teatrali: in uno di questi ricordo che fece morir dal ridere con le imitazioni degli anziani bolognesi che switchano dal dialetto all'italiano e viceversa, spesso nel corso della stessa frase :-)
      Insomma ora sai tutto, per il resto c'è google, anche se per i non nativi emiliani dubito che il suo umorismo vernacolare possa essere comprensibile o di qualche interesse :-)

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    5. Effettivamente credevo fosse un giornalista, una specie di Michele Serra emiliano. Mi informerò, m'informerò...
      Cambiando argomento, visto che me l'hai ricordato, segnalo il trailer di "Vai col liscio". ;)

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  2. Fai venir voglia di rileggere tutta la Commedia! ma dall'inizio alla fine eh!
    qualche anno fa a Bologna organizzarono un evento, in pratica reclutarono "a casaccio" 100 persone: dopo un breve corso di "dizione" e un po' di preparazione sul tema, ognuno avrebbe declamato un canto della Divina Commedia in una precisa via del centro, lo stesso giorno, a intervalli di tempo regolari ma sincronizzati tra tutti i partecipanti. Per primi sarebbero partiti i cantori dell'Inferno poi il Purgatorio e così via. A me toccò il X canto del Purgatorio, un canto assolutamente di passaggio in una via assolutamente di passaggio, via De' Monari, angolo di via Indipendenza. Era un sabato pomeriggio, giorno di shopping nella via dello shopping, e i passanti guardavano straniti. Ma ci fu qualcuno che applaudì e fu una bellissima soddisfazione ;-)

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    1. Bell'iniziativa! È simile a quanto ogni tanto fanno a Firenze. Chissà se via De' Monari era stata scelta ad hoc sulla base del tema trattato nel canto. Tra l'altro il Purgatorio è la mia cantica preferita, ma probabilmente sono l'unico in Italia a pensarla così...
      Mi piacerebbe che anche ad Arezzo facessero qualcosa di simile, però sul nostrano Petrarca (che, a mio sindacabile giudizio, è l'eterno secondo della letteratura italiana): così sottrarremmo, almeno per un po', 366 aretini dalla vile e meschina attività orafa.

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    2. Ahahah, i vili e meschini orafi! ;-))) Comunque confermo che le vie del centro in cui si sarebbero dovuti appostare i cantori furono scelte con una certa cognizione di causa. Ad esempio, l'Inferno fu quasi tutto recitato nella zona universitaria, dietro le due Torri, e nelle viuzze che costituivano un tempo il vecchio ghetto ebraico (tra le quali c'è anche, appunto, "via dell'Inferno"). Il Purgatorio si snodò tra via Indipendenza e strade laterali/limitrofe, tutte o più o meno votate al commercio e allo shopping (anche se è quest'ultimo, per me, il vero Inferno ;-))). Il Paradiso se non ricordo male fu declamato nella parte alta del centro, zona residenziale storica e decisamente ricca, dove si trovano alcune delle sedi più "prestigiose" dell'università. L'ultimo canto del Paradiso invece fu recitato all'unisono da tutti i partecipanti in piazza S. Stefano, una delle piazze più belle (forse la più bella?) di Bologna. Le prove di dizione le facemmo la sera precedente nella chiesa della piazza, in un semibuio molto molto medievale ;-)

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    3. Via dell'Inferno: il nome è un po' inquietante... A ogni modo dev'esser stato ganzo, anche se non riesco a figurarmi molto la disposizione dei cantori. È un pezzo che non torno a Bologna: l'ultima volta che ci sono stato, poi, ho fatto semplicemente il tragitto che va dall'aereoporto alla stazione centrale. Però di piazza Santo Stefano mi ricordo abbastanza: è indubbiamente bella.
      Ah, modestamente anch'io mi ricordo un passo a memoria del X canto del Purgatorio (pensa, ce lo fecero imparare alle superiori):

      «O superbi cristian, miseri lassi,
      che, de la vista de la mente infermi,
      fidanza avete ne’ retrosi passi,

      non v’accorgete voi che noi siam vermi
      nati a formar l’angelica farfalla,
      che vola a la giustizia sanza schermi?»

      Sono proprio bravo, eh?

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    4. ecco, se ti ricordi un po' la mia parlata, capisci anche te come mai è stato necessario fare un corso di dizione per riuscire a dire "la giustizia sanza schermi" senza sembrare Andrea Roncato che ci prova con la tabaccaia in 'Acapulco prima spiaggia a sinistra' :-D
      Alla prima occasione, vieni su da noi un weekend e ti si porta anche a fare un bel giro riepilogativo di Bologna :-)

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    5. Affare fatto! Grazie della proposta. :) Però fatemi fare anche un giro a Modena, perché quella città proprio non l'ho mai vista. :)

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  3. però ti ho commentato sotto il post sbagliato ;-)) Perdonami!

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    1. Ecco, per colpa della tua mancanza al momento il post su Dante è ancora privo di commenti. Per questa volta ti perdono, ma ti avviso: non ci rifare. :p

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