domenica 23 giugno 2013

Storia concisa della tipologia linguistica (e dei suoi rapporti con la grammatica generativa)


Premessa

Anche per il seguente articoletto, tratto da una sezione della mia tesi, sono andato a ripescare un topic del mio vecchio forum. Nel caso in questione, a differenza di quanto accaduto con un altro post analogo, mi sono spinto un po' più in là nella revisione.
Avendo sentito parlare dell'incontro/scontro tra tipologia linguistica e grammatica generativa, ho deciso di contattare il cofondatore del suddetto forum, il mio amico Giuseppe, per fargli scrivere alcune righe sull'argomento.
Giuseppe, a differenza di me, ha continuato i suoi studi nell'àmbito della linguistica (campo che ho in parte abbandonato dopo la laurea triennale). Ora, poiché il suo orientamento è decisamente più generativista del mio, ho optato per non uniformare i due testi ma per lasciarli separati al fine non tradire quanto ha scritto.
Ma bando alle ciance e iniziamo!


Dai fratelli Schlegel ai successori di Greenberg: breve storia della tipologia linguistica

di Marco Luchi

Varie sono state le strade tentate per classificare le lingue sulla base di tipi paradigmatici. La prima forma di tipologia linguistica (d'ora in poi abbreviata in Tl) nasce all'inizio dell'Ottocento per opera dei fratelli Friedrich e August Wilhelm von Schlegel e, soprattutto, di Karl Wilhelm von Humboldt: a loro si deve la suddivisione delle lingue su base morfologica in isolanti, agglutinanti, flessive e polisintetiche.
Contemporaneo allo sviluppo della Tl è quello della classificazione genealogica delle lingue: alla fine del Settecento, gli ungheresi János Sajnovics e Sámuel Gyarmathi scoprirono una parentela genealogica tra l'ungherese e il finnico, dando il via alla grande stagione dell'indoeuropeistica su base comparatistica. Gli studi della Tl continuano a essere coltivati per tutto l'Ottocento, ma con scarsa risonanza, tanto che oggi sono stati per la maggior parte dimenticati. Nella prima metà Novecento, le osservazioni più acute di tipologia linguistica sono probabilmente quelle dovute a Edward Sapir. [1] Col tempo si prende coscienza di come anche la Tl su basi morfologiche presenti dei limiti:

Il latino è una lingua non flessiva, ma prevalentemente flessiva, che conosce fenomeni di agglutinazione (nelle forme dei composti agri-cola, quattuor-decim) e di isolazione (impiego di preposizioni per esprimere rspporti locali: ex Urbe profisci vs Urbem petere).
P. RAMAT, Linguistica tipologica, Il Mulino, Bologna 1984, p. 30.
Inoltre il concetto di tipo linguistico muta in base alla corrente di pensiero in auge, tanto che nella storia della linguistica – come sottolinea Ramat – possiamo riscontrarne grosso modo quattro differenti concezioni a seconda che il tipo sia visto:

  1. come un classificatore che raggruppa le lingue in base alla presenza/assenza di un solo e unico tratto (fratelli Schlegel);
  2. come scala compresa tra due estremi, lungo la quale si collocano le lingue in base al loro grado di sviluppo (Humboldt);
  3. come un criterio di classificazione basato sulla compresenza di più tratti combinati assieme (Sapir);
  4. come un modello ideale che può raggiungere il massimo grado di efficacia solo qualora si adoperino concetti di misura (Skalička).
Una svolta in àmbito tipologico si verifica nel 1963, con la pubblicazione dell'articolo intitolato Some Universal of Grammar with Particular Reference to the Ordre of meaningsful Elements a opera dell'americano Joseph Greenberg. Nell'opera viene introdotto in linguistica il concetto di Universale. Ed è proprio grazie a tale nozione che può essere superata l'arbitrarietà della tipologia su base morfologica, il cui limite è l'essere fondata sulla presenza/assenza di un solo tratto.
Sebbene, teoricamente, la ricerca dei tipi e quella degli universali siano due attività scientifiche differenti (paradossalmente la prima si è volta allo studio delle differenze interlinguistiche, la seconda dei tratti condivisi da tutte le lingue); nella pratica le due discipline vanno a braccetto. [2] Ora, giacché v'è una tendenza a usare il termine “Universali” latu senso e/o impropriamente [3], sarà bene chiarire la sua giusta accezione: gli universali sono proprie e costitutive della lingua [4], non «finzioni scientifiche» ma «proprietà reali, immanenti alla lingua». [5]
Ecco un paio di universali esemplari: «tutte le lingue possiedono le vocali» e «nessuna lingua ha il numero triale se non ha un duale. Nessuna lingua ha il plurale se non ha il singolare» (Universale 34). [6] Il primo è universale assoluto, inutile per un'efficace classificazione delle lingue (in quanto consente di distinguere soltanto tra lingue storico-naturali e non); invece il secondo è un universale implicazionale che ci consente di suddividere l'eterogeneo gruppo delle lingue storico-naturali in classi. Infatti è proprio grazie a questa tipologia di Universali che s'instaura una gerarchia di quei tratti che manifestano a livello epidermico il principio di organizzazione interno alle lingue. [7] Sicché la Tl non può più essere considerata una teoria generale autonoma, poiché “dipende” da un'altra teoria, appunto, da quella degli universali.

La pubblicazione di Greenberg in questione risale a quasi cinquant'anni fa e si basano su un campione di trenta lingue: basco, serbo, gallese, norvegese, greco moderno, italiano, fillandese (europee); yoruba, nubico, swahili, fulani, masai, songhai, berbero (africane); turco, ebraico, burushaski, hindi, kannada, giapponese, tailandese, birmano, malese (asiatiche); maori, loritja (amerindiane).[8]
Benché il campione sia esente da distorsioni notevoli, trenta lingue non basta a rappresentare in modo quantitativamente significativo le 6.000 che sono parlate nel mondo.[9] Dobbiamo dunque evitare d'inciampare nell'errore del tacchino induttivista: teoricamente basta un solo cigno nero per confutare la tesi per cui tutti i cigni sono bianchi. Pertanto, sebbene le idee greenbergiane “forti” siano sopravvissuti, come quella dell'ordine dei costituenti; altre generalizzazioni ipotizzate si sono scontrate con numerose eccezione e copiosi controesempi. Ecco perché oggigiorno è meglio distinguere prudentemente tra “Universali” e “tendenze universali”. Certo, è doveroso spezzare una lancia a favore di Greenberg, ricordando come le sue ricerche non poterono avvalersi del prezioso ausilio delle tecnologie informatiche. [10]



Tipologia linguistica e grammatica generativa

di Giuseppe Samo

Tipologia linguistica 'classica' e grammatica generativa si parlano. Cioè litigano, ma la distanza è minore di quanto si pensi. Cambia il punto di partenza: nella grammatica generativa si parte dall'assunto che tutte le lingue sono uguali con il termine 'universale' tanto amato da Greenberg. L'approccio generativo vede infatti tutte le lingue (e qui nessuna distinzione tra dialetto e lingua!) come variazione di un unico tema, con un'unica struttura sintattica e le differenza sono solo sulla scelta di valori pametrici o della conseguente realizzazione (o non realizzazione) fonetica.
Di conseguenza gli studi tipologici non fanno altro che rafforzare le convinzioni della grammatica generativa: se troviamo la stessa struttura in tutte le lingue questo avvalora la tesi della Grammatica Universale.
Di questo si sta per l'appunto dibattendo in campo accademico e sono recenti gli attacchi da parte della tipologia 'classica', capitanata da Evans e Levinson, secondo cui se si aumentasse il numero dei dati raccolti da parte dei generativisti, si troverebbero controesempi alle proprietà universali. Non a caso in questo 2013 uscirà uno special issue di Lingua in cui molti nomi noti della linguistica generativa, tra cui spicca Noam Chomsky, rispondono in maniera attenta e con dati alla mano alle provocazioni: non solo tipologia 'classica' e grammatica generativa vanno a braccetto, ma con il paradigma generativo si possono raffinare i metodi e i risultati della ricerca tipologica.

Riferimenti

1. G. GRAFFI-S. SCALISE, Le lingue e il linguaggio, il Mulino, Bologna 2003, pp. 72-73; 
2. P. RAMAT, Linguistica tipologica, il Mulino, Bologna 1984, p. 48; 
3. Per maggiori dettagli, cfr. ivi; 
4. Ibidem, p. 47; 
5. Ibidem, p. 49; 
6. J. H. GREENBERG, Alcuni universali della grammatica in P. RAMAT (a cura di), La tipologia linguistica, il Mulino, Bologna 1976, p. 138; 
7. P. RAMAT, op. cit., pp. 24-27; 
8. J. H. GREENBERG, op. cit. in P. RAMAT, La tipologia linguistica, cit., p. 117; 
9. N. GRANDI, Fondamenti di tipologia linguistica, Carocci, Roma 2008, p. 7; 
10. Ibidem, pp. 72-75.


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6 commenti:

  1. Vorrei riportare in nota il riferimento di Evans e Levinson:
    Evans, N., Levinson, S., 2009. The myth of language universals: Language diversity and its importance for cognitive science. Behavioral and Brain Sciences 32, 429-492.

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    1. Ciao Busfahrer, provvedo subito a riportare in nota il riferimento: dove lo devo piazzare di preciso?

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    2. Io no parla italiano! Comunque Irgendwo, facciamo una einzige bibliografia!

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    3. A proposito di non parlare italiano, una mia amica mi ha fatto notare che ho commesso un refuso nel titolo: ho scritto "coincisa" invece di "concisa". Ora ho corretto l'errore nel testo, ma mi è rimasto nell'indirizzo del link. Voglio sotterrarmi...

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  2. Nel titolo hai anche scritto "sui" al posto di "suoi".

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    1. Ops... Provvedo subito alla correzione.
      Grazie della segnalazione!

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